Credo sia capitato anche a te, ad esempio dopo un’accesa litigata o una cocente delusione, di provare una rabbia incontenibile e desiderare di aggredire il tuo interlocutore. Può capitare anche di provare spavento di sé tanto è forte in quel momento la voglia di fare fisicamente male a qualcuno.
La funzione costruttiva dell’aggressività
Viviamo in un contesto culturale dove i comportamenti aggressivi vengono identificati come un’unica categoria di comportamenti pericolosi, sbagliati e negativi. Etologia e Neuroscienze, però, ci raccontano una storia diversa. Esistono, infatti, diverse forme di aggressività mediate da aree cerebrali diverse (non entro qui nello specifico altrimenti questo articolo diventa tipo una puntata di Quark!). Alcune forme sono difensive e altre, incredibile ma vero, sono ad alto valore relazionale e costruttivo. Di fatto, quella che noi definiamo “aggressività negativa” è solo una degenerazione di una modalità sana e utile di interagire con gli altri.
Perché scatta l’aggressività
L’aggressività, e questo vale per tutti i mammiferi (ti ricordi, vero, che anche tu sei un mammifero?), scatta per tre principali motivi:
1 – PROVIAMO DOLORE (es. un Lupo ha una zampa ferita)
Quando un animale sta male, forse lo avrai visto nel caso tu abbia un cane o un gatto, se ne sta fermo in un angolo senza mangiare. In Natura non c’è il veterinario, quindi un Lupo che si ferisce, ad esempio, attende che il suo organismo dia corso al processo di guarigione impegnandosi a non sprecare le sue energie per muoversi, cacciare, digerire il cibo. Provando dolore, però, tende ad essere aggressivo e, quindi, è meglio stargli alla larga.
Questo stesso meccanismo avviene anche in noi. Quando, ad esempio, abbiamo male ai denti o siamo bloccati con la schiena, diventiamo delle iene scorbutiche che rispondono spesso male anche a chi ci chiede semplicemente come stiamo. Questo non succede perché siamo stronzi, ma perché si è attivato quel certo circuito cerebrale legato all’aggressività che scatta quando c’è uno stimolo doloroso (ovviamente questo non giustifica maltrattare ingiustamente gli altri!).
2 – VEDIAMO UN CONSPECIFICO (es. un Lupo vede un altro Lupo)
I conspecifici, quindi i membri di una stessa specie, non si uccidono tra di loro (l’unica eccezione siamo noi esseri umani che, purtroppo, commettiamo molti omicidi). Questo significa che se un Lupo vede un altro Lupo che non fa parte del suo branco, l’aggressività che mette in atto è di regolazione sociale per dire ad esempio “vattene che questo è il mio territorio, questo è il mio cibo, questa è la mia femmina ecc.”. Due Lupi però, proprio perché conspecifici, non si uccideranno tra di loro. Possono lottare, possono ferirsi, ma non si uccideranno mai.
Tra noi mammiferi umani, quindi, l’aggressività tra conspecifici è quella utile e necessaria che ci serve per dire no, per far rispettare i nostri confini personali, per mettere un limite a qualcosa/qualcuno, per difendere quello che per noi conta. Avere un’aggressività tra conspecifici sana vuol dire che sai difendere quello che per te è importante ed è quindi giusto tirarla fuori perché ti serve per regolare i rapporti interpersonali (per attuarla correttamente da adulto bisognerebbe affrontarla per gradi da bambini, ma questo è un altro discorso).
Nel mondo degli esseri umani, naturalmente, “territorio”, “cibo” e “sessualità” trovano analogia con quelli degli altri mammiferi, ma su piani più complessi. Nel nostro mondo, ad esempio, il “territorio” è anche la nostra identità, il nostro ruolo professionale, la nostra capacità di definirci. Oppure la sessualità, oltre ad essere legata alla riproduzione vera e propria (metto al mondo un altro essere umano) è legata, in senso più simbolico, alla possibilità di essere generativi, ossia “partorire” idee e progetti. Quindi, se nell’ufficio in cui lavori arriva una nuova dipendente e ti rendi conto che vuole “predarti” il tuo ruolo, che ti sei guadagnata a fatica dopo anni, scatta in te un’aggressività difensiva sana. Così come scatta se un’altra persona vuole “predarti” l’idea di un progetto a cui hai pensato tu e sul quale stai lavorando con impegno (che difendi, quindi, proprio come se fosse un figlio).
Il problema nasce quando vedi più minacce del necessario e rendi, quindi, disfunzionale la tua aggressività. Ad esempio ti convinci, basandoti su indizi totalmente arbitrari, che Maria, la nuova vicina di casa single, vuole “predarti” il marito. Magari è una donna spigliata e chiacchierona che, semplicemente, vuole fare amicizia e avere buoni rapporti di vicinato, ma i cui atteggiamenti tu interpreti come civettuoli.
Ora, qual è il punto qui. Oltre alla povera Maria che non c’entra nulla e che tuo marito non lo caca manco di striscio, anche se tu sei convinta del contrario, l’aggressività difensiva che ti scatta dentro (“questo uomo è mio”) fa partire la risposta di stress “combatti o fuggi”. Si tratta di una normale risposta fisiologica del tuo organismo che in sé, quindi, non ha nulla di sbagliato, anzi guai se non ci fosse, ma che in te però rischia di non trovare mai conclusione e di andare, così, in corto circuito.